La strada è una sterrata in pessime condizioni. L’ammortizzatore posteriore, per la rottura della guarnizione del dispositivo di regolazione del precarico ha perso olio, e va spesso a fine corsa, così ogni buca o dislivello del terreno si ripercuotono sulla schiena. Sai che goduria! Il cielo s’è rannuvolato e in cima al passo fa freddo, 7/8° e tira un vento tagliente. Espletiamo le formalità burocratiche in un’ora circa, poi affrontiamo i 20 km. di terra di nessuno che la dividono da quella Kirghiza. Sono altri 20 chilometri di strada sterrata, con terreno fangoso e sconnesso per il passaggio di veicoli pesanti. Un tormento! Fortunatamente passiamo la dogana kirghiza in un attimo, addirittura con baci e abbracci da parte di un doganiere amante dell’Italia. Si scende verso il paese di Sari Tash attraverso una valle ampia, fiancheggiata da una catena di imponenti montagne, tra cui spicca il Lenin Peack, 7134 m. Anche qui al nostro passaggio grasse marmotte fulve scappano fischiando di qua e di là. Ad un tratto, vicinissima alla strada, prende il volo un’aquila. Che meraviglia! E che peccato non essere riusciti a fotografarla. Giunti a Sari Tash facciamo benzina e cambiamo alcuni dollari in moneta locale da un benzinaio strozzino col quale Morten ha un’accesa discussione poiché l’uomo rifiuta sprezzante di cambiargli 20 $. Per pranzo sostiamo lungo la strada, in un semplice cafè, dove ci servono goulash e kartob, un piatto locale a base di carne. E’ ormai pomeriggio inoltrato quando giungiamo alla città di Osh, dove dobbiamo fermarci un paio di giorni per cercare di risolvere il problema dell’ammortizzatore. Senza averlo a posto dubito che potremo affrontare le piste mongole. Dopo infruttuosi tentativi per trovare la Tess Guesthouse, quando alfine vi arriviamo, guidati da un gentile abitante, scopriamo con disappunto che non ha posto per noi. Troviamo alloggio al vicino Hotel Osh N40°31.306' E72°48.005', un grande edificio di sette piani, in stile sovietico, vecchiotto, ma pulito. K ed io ci regaliamo un po’ di comodità scegliendo una camera de lux, con salotto e fornita di ogni comfort, al prezzo di 70 dollari, compresa colazione e parcheggio custodito per le moto. Il ragazzo alla reception, Ali, si rivela molto affabile ed amichevole, tanto che si offre di accompagnare Knut al mercato dei pezzi di ricambio, l’indomani mattina alle 8, quando terminerà il suo turno di lavoro. Davvero gentile!
Decidiamo di inviare un SMS con la nostra posizione a Paoletto, cosi se vorranno potranno raggiungerci.
24 luglio Osh
Knut è tornato soddisfatto dal giro al mercato, dove ha trovato alcuni pezzi utili per cercare di riparare l’ammortizzatore.
La riparazione è andata bene, ma è soprattutto grazie a Ali, che dopo un turno di lavoro di 24 ore, ha trovato il tempo per accompagnarmi al mercato (chiunque avrebbe voluto andare a casa subito), e non solo mi ha portato li, ma al ritorno quando abbiamo preso l'autobus, non mi ha permesso di pagare, dicendo semplicemente "you are guest".
Vale la pena pernottare all' hotel Osh, anche solo per la sua presenza.
Thank You Ali!
Più tardi, mentre beviamo un aperitivo nella nostra camera, in compagnia di Morten, sentiamo bussare alla porta, è la moglie di Paoletto che ci annuncia che sono arrivati, ringraziandoci per l'sms. Li invitiamo ad unirsi a noi tre per cena, indicando un ristorante vicino. Ci chiedono di aspettarli, dandoci appuntamento nella hall di lì a un'ora. Trascorsa più di un'ora si presenta solo Paoletto, munito della fotocopia della nostra carta stradale, dice che ci raggiungeranno al ristorante e nel frattempo ci chiede di indicargli il percorso che avremmo seguito il giorno seguente.
Al ristorante non sono mai arrivati nè hanno avvertito!
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25 luglio
Osh-Toktogul circa 400 km.
Consumata la colazione in camera a base di biscotti, marmellata di ciliegie, succo d’arancia, te e caffè andiamo a cercare l’amico Morten per salutarlo. Lui resterà ancora un giorno ad Osh, da dove partirà per un giro del Paese di una settimana. Il viaggio del nostro amico proseguirà poi in Cina (Morten è tornato in Danimarca al inizio di Dicembre 2012, dopo un bellissimo giro fino in India, del quale siamo un po' invidiosi). Ci scambiamo le mail e la promessa di restare in contatto, dopodiché partiamo, soli perchè Paoletto ha deciso di restare a riposare fino a mezzogiorno. La cosa non ci dispiace visto il bidone che ci hanno tirato la sera prima. L’uscita dalla città è semplice. Ci riforniamo di carburante imboccando poi la A370 in direzione Uzghen ( Ozgon) per evitare di rientrare in territorio Uzbeko. Sì perché la valle di Fergana, nella divisione del territorio successiva alla caduta dell’Unione Sovietica, è rientrata in territorio uzbeko. Da allora si verificano spesso sanguinosi attentati tra gli appartenenti alle due etnie, kirghizi e uzbeki. La strada aggira il lago.Vasti campi coltivati a ortaggi lasciano, via via, il posto a tonde colline gialle di girasoli. Nei pressi di Jalal-Abad riprendiamo la M41. Dopo una trentina di chilometri svoltiamo al bivio per Arslanbob, un villaggio circondato dalla foresta di noci più estesa della Terra. Percorriamo una ventina circa di chilometri su una strada semi asfaltata, fiancheggiata da imponenti noci, ma, a mano a mano che procediamo, inoltrandoci nella valle, vediamo che il cielo sulle montagne verso cui siamo diretti è color piombo. – Oh no! Laggiù sicuramente piove- commentiamo. Quindi decidiamo di cambiare itinerario e facciamo dietrofront. Proseguiamo lungo la M41 per una ventina di chilometri poi pensiamo di fermarci per pranzo e la nostra scelta cade su un locale lungo la strada da cui vediamo uscire ed entrare parecchie persone. - Ecco questo è un posto frequentato da kirgisi e qui sicuramente potremo assaggiare la cucina locale- ci diciamo. Parcheggiamo la moto tra gli alberi e subito siamo oggetto di grande curiosità; escono a vedere la nostra moto alcuni avventori e un paio di cameriere, con ancora i vassoi con le ordinazioni in mano. Veniamo condotti all’interno di un grande giardino nel quale si trovano diversi carpoy. Ne scegliamo uno e, tolti gli stivali, ci sediamo sui cuscini, cercando di stendere le gambe sotto al basso tavolino. E’ difficile ordinare il pranzo quando non si conosce né il kirghiso né il russo! Neppure il vocabolario è di aiuto, allora ci arrangiamo con la mimica, imitando i versi degli animali per capire che tipo di carne scegliere e provocando sonore risate con la nostra interpretazione. Alla fine c le due cameriere capiscono e ci portano degli enormi spiedini di pollo, speziati che gustiamo insieme a te verde e birra. Ripartiamo rinfrancati dal pasto e ben presto la strada prende a salire, seguendo il corso del fiume Naryn, dalle acque verdissime, che si allarga in cinque laghi artificiali. All’ingresso del paese di Karakol veniamo fermati da un poliziotto, che però, non riuscendo a spiegarci la natura dell’infrazione che avremmo commesso e guardando le nostre facce stupite, ci lascia andare. Meno male, ce la siamo cavata anche stavolta! Ora la strada s’inoltra attraverso un paesaggio desolato, di scabre montagne grigio-marrone, mentre la stretta valle è interamente occupata dal fiume e dalla strada. Grosse nuvole nere avanzano e comincia a cadere qualche goccia….ci fermiamo ed indossiamo gli indumenti antipioggia (la parte esterna della giacca Nordkapp di Motoinfinito) poi proseguiamo. Verso le 17 ci fermiamo al paese di Toktogul, che sorge sulla riva settentrionale del bel lago blu, di cui abbiamo percorso il periplo. Per il timore di non trovare sistemazioni per la notte chiediamo una camera in un motel N41°52.646' E72°57.172' vicino ad un benzinaio. La stanza è piccola, ma dotata di frigorifero e televisore e per 1000 som la prendiamo. C’è un’altra moto nel parcheggio, il ragazzo che la guida è un olandese che è arrivato attraverso Ucraina, Russia, Kazakstan e che percorrerà il nostro stesso itinerario fino in Mongolia.
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26 luglio
Toktogul-Biskek circa 326 km
Stamattina abbiamo perso parecchio tempo girando su e giù per il paese alla ricerca di uno sportello bancomat da cui prelevare. Le tre banche dove ci rechiamo non erogano contante neanche con la Visa Card. Riusciamo solo a cambiare dei dollari in valuta locale (som) così riusciamo a partire da Toktogul solo alle 10. Salutiamo il motociclista olandese augurandoci a vicenda “ Have a nice trip.” L’aria afosa e calda che ci ha accompagnato lascia ben presto il posto ad una frizzante aria di montagna, mentre ci arrampichiamo verso il Passo di Ala-Bel. Attraversiamo un paesaggio che ricorda le Alpi, fitto di abetaie che ricoprono le montagne. Compaiono diverse tende di campeggiatori sparpagliate lungo il corso di un torrente. Ai lati della strada si succedono banchetti improvvisati, davanti a una tenda o yurta, dove si vendono miele o lamponi selvatici. Come vorrei fermarmi e acquistare un cestino di lamponi! Notiamo anche quello che potrebbe sembrare dei vecchi vagoni ferroviari, muniti di ruote gommate, che fungono da abitazione/negozio improvvisato. Oltrepassandone uno vediamo, con la coda dell’occhio, una mano protesa nell’atto di lanciarci una pietra… Superata quota 2500 m. gli alberi scompaiono di colpo per lasciare il posto a vaste distese d’erba dove pascolano mandrie di cavalli. Iniziamo a vedere le prime yurte bianche, dai cui comignoli fuoriesce del fumo e i primi mandriani a cavallo. Giungiamo al passo, a 3200 m circa, infreddoliti per la bassa temperatura ( 10,5°) ma estasiati dalla bellezza primordiale del paesaggio. Ci fermiamo spesso a scattare fotografie e, quando sostiamo presso una grande yurta a due piani, affiancata da altre due più piccole, ci ritroviamo nel bel mezzo di un set televisivo di una tv cinese. Stanno girando un documentario. La troupe interrompe il lavoro e ci circonda, scattando foto a noi e alla moto. Poi, terminate le riprese dentro la yurta, veniamo intervistati dal giornalista, che parla inglese e anche qualche parola d’italiano. Ci sentiamo un po’ confusi per essere al centro di tanta attenzione, ma per la prima volta da quando siamo partiti, realizziamo che il nostro viaggio in moto, partendo dall’Italia e percorrendo circa 30000 km, rappresenta un’impresa per molti. Per una volta, in mezzo a queste alte montagne, gli “esotici” siamo noi! Ci viene offerto del chay dalla figlia del padrone di casa, mentre ci viene spiegato il procedimento con cui si realizza il kymys, il latte fermentato di giumenta che è la bevanda nazionale kirgiza. Il procedimento di fermentazione richiede tre giorni, poi viene versato in un barile di legno e “mosso” con un utensile di legno simile ad uno stantuffo, chiamato “Bishkek”. Terminato di bere il the nella grande yurta principale ci è consentito di visitare anche l’altra, in cui le donne sono intente alla preparazione del pasto. Una grande stufa nera, al centro, viene alimentata da formelle di letame seccato, diffondendo un piacevole calore. Ripartiamo poi soddisfatti per l’interessante esperienza.
Lungo la strada ora si susseguono piccoli banchetti dove i pastori vendono i prodotti caseari ricavati dal latte di giumenta. Le loro bianche yurte, fumanti nell’aria cristallina, spiccano sui pascoli, mandrie di cavalli punteggiano i prati guidate da pastorelli a cavallo. Più avanti compiamo una deviazione sulla A367 che attraversa la valle di Suusamyr, descritta come suggestiva dalla solita guida. L’asfalto ben presto scompare. Attraversato un villaggio la strada prosegue verso le montagne. Giunti ad un bivio siamo incerti sulla direzione da prendere. Il navigatore ci indica la stradina bianca sulla destra, ma titubiamo, anche perché abbiamo ormai percorso una quarantina di chilometri senza vedere nulla di particolare e sta sopraggiungendo un nero temporale. Invertiamo quindi la rotta e torniamo sulla M41. Arrivati lì, mentre siamo fermi vicino ad un banchetto per indossare gli indumenti antipioggia, vediamo sopraggiungere i due ex amici che avevamo lasciato ad Osh.
Li aspettiamo e ripartiamo insieme. Non appena la M41 sale in quota li distanziamo, così ci fermiamo ad aspettarli. Quando arrivano ci dicono di proseguire perché loro devono indossare gli antipioggia. Restiamo d’accordo di ritrovarci superato il passo, al primo posto di ristoro che incontreremo. Appena ripartiamo inizia a piovere, il temporale ci ha raggiunto. Ben presto la pioggia aumenta d’intensità mentre percorriamo i tornanti che conducono al Too Ashuu Pass e un diluvio d’acqua ci accompagna fin quando, molti chilometri dopo, incontriamo finalmente un posto di ristoro. E’ un bel locale, elegante, e pranziamo ottimamente, riscaldandoci. Ne usciamo dopo un’ora buona senza aver visto traccia degli altri due. Proseguiamo quindi per Bishkek. la città ci colpisce perché sembra non avere un centro vero e proprio. Percorriamo lunghi viali alberati sui lati dei quali s’intravedono casette immerse negli alberi. Seguendo le indicazioni del Garmin troviamo la Guest house Shumkar Asia N42°53.602' E67°53727', gestita da una gioviale signora russa. Si tratta di una grande villa in stile bavarese, circondata da un grande giardino. C’è persino una piccola piscina. Inviamo un SMS agli altri con la posizione del posto. Ci rispondono dopo un’ora che si sono già sistemati da un’altra parte. Ancora una volta ci irrita il constatare che pensino sempre e solo a se stessi.
Più tardi usciamo a piedi per recarci in un ristorante segnalatoci dalla padrona dell’hotel. Sbagliamo strada un paio di volte e, una volta arrivati troviamo fuori una coda di persone in attesa che si liberino dei tavoli. Sconsolati torniamo sui nostri passi. Abbiamo camminato parecchio e siamo stanchi e affamati. Fortunatamente troviamo posto in un locale simpatico, dove ceniamo all’aperto in uno dei gazebo situati nel giardino. Il ritorno alla Guest House avviene nel buio più completo, rischiarato a tratti dal lampeggiare delle torce di altri pedoni. Incredibile che nella capitale, sia pure in un quartiere non centrale, non vi siano lampioni!
27 luglio
Biskek-Almaty 240 km circa
Dopo una colazione alla “tedesca” a base di wurstel, patate, pane nero, burro e formaggio, partiamo, sotto una leggera pioggerella, diretti alla frontiera. Arrivati alla dogana ci troviamo in mezzo ad una massa di auto, furgoni, pullmini ed ogni sorta di veicoli fermi in una disordinata coda. Troviamo i due compagni che attendono di entrare e li raggiungiamo zigzagando tra i veicoli. Aspettiamo parecchio, in coda, ma le formalità burocratiche sono poi veloci. Superiamo in una mezz’ora circa quella kazaka e…”We’re in Kazakstan” gridiamo eccitati.
Continua in "Kazakstan"!
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