25 giugno: Ingresso in Iran
Dogubayazit- Tabriz km 350
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Oggi è il gran giorno in cui varcheremo il confine iraniano ed entreremo nel Paese degli Ayatollah. Confesso di avere qualche timore! Alle 6 siamo già in piedi. Non so decidere quale abbigliamento indossare…poi infilo sopra i calzoni da motociclista la casacca beige a manica lunga, acquistata per l’occasione, e indosso una lunga sciarpa gialla. Alle 7 colazione, pieno di benzina e BROOOM…via a tutta birra verso il confine iraniano! I doganieri turchi guardano divertiti mentre, tolto il casco mi drappeggio la sciarpa sul capo. Fa caldo, inizio a sudare e mi sento strana. Superato un primo ufficio si arriva ad uno spiazzo dove ci viene detto di attendere. Qui avviene il primo incontro con un “trafficone locale” parecchio invadente, che inizialmente abbiamo scambiato per un addetto al controllo delle moto, difatti ci chiede di consegnargli i libretti delle moto e i passaporti, dicendo che i veicoli devono recarsi al controllo raggi x e di seguirlo…il suo atteggiamento c’insospettisce, capiamo che non è un doganiere, e lo allontaniamo. Il tipo però non ci molla, ora chiede insistentemente se vogliamo cambiare valuta. Ai nostri dinieghi non si arrende e continua a tallonarci, perciò, infastidita mi rivolgo ad una poliziotta turca chiedendo chiarimenti. La poliziotta, forse per solidarietà femminile, allontana il tipo, guarda i nostri documenti, chiarendoci il da farsi. Poi chiama un collega che ci accompagna al luogo per la disinfezione della moto. Poi, all’improvviso, i doganieri turchi aprono un pesante cancello di ferro e ci fanno segno di passare. Le moto avanzano, ma noi donne veniamo fatte entrare da un piccolo cancello, una alla volta ed osservate attentamente. Eccoci sul suolo iraniano, il cuore mi batte forte, mentre osservo un enorme gigantografia di Komehini… mi avvicino a K mentre due soldati iraniani ci chiedono i passaporti. Li prendono e li consegnano ad un uomo in abiti civili, dall’aria autorevole che… scopriremo poi essere il trafficone locale! Parla un discreto inglese, conosce tutti, impiegati e soldati. Con i nostri documenti in mano, entra ed esce da vari uffici, saltando le code. In breve tempo sbriga le pratiche, passiamo il controllo persone e usciamo dall’edificio in un cortiletto, dove sono parcheggiate le moto. Dobbiamo attendere per il controllo dei bagagli sulle moto; nel frattempo il nostro uomo chiede se abbiamo bisogno di cambiare valuta e, al nostro assenso, fa cenno ad un uomo di avvicinarsi. Confabulano un po’ dopodiché ci comunica il valore del cambio ( 20000 rial per 1€ ) assai migliore rispetto a quello del turco, così cambiamo 50 €. Poi tutto si ingarbuglia. Prima ci conduce ad un edificio bianco in cui entra con i nostri CDP, riemergendone dopo una ventina di minuti con due foglietti scritti in farsi e timbrati, dicendo che presentandoli ai distributori di benzina ci verrà praticato lo stesso prezzo che agli iraniani. Poi, alla nostra richiesta su dove stipulare un’assicurazione temporanea per la moto, prima sostiene che non serve, poi, data la nostra insistenza, dice di seguirlo. Sale a bordo di un taxi che parte a razzo, mentre noi, saliti precipitosamente sulle moto lo inseguiamo per non perderlo, mentre si dirige velocemente all’uscita della dogana. Passando scorgo un edificio grigio sul cui tetto campeggia l’insegna “ Insurance Company”. “ Fermati !” urlo a K…ma lui è concentrato nel non perdere di vista l’auto degli iraniani. In un attimo siamo fuori dalla dogana, nel traffico caotico e, immessosi in una rotonda il taxi si ferma all’improvviso, in doppia fila, davanti ad una serie di negozi/uffici. Il nostro uomo fa segno a K di seguirlo e s’infila in un portoncino. Dopo lungo peregrinare da un ufficio all’altro, l’uomo, il suo compare, K e la moglie di Paoletto tornano alle moto. L’uomo riferisce che non è possibile stipulare una polizza temporanea, che dovremmo farla per un anno e che il costo ammonta a 70 dollari. A quel punto non potendo più fare nulla per noi ci chiede il pagamento per i suoi servizi: 70 € !! Sorpresi e seccati iniziamo a discutere, facendo presente che avrebbe dovuto dire subito che voleva essere pagato per i suoi servizi e quantificare la cifra. Nel frattempo intorno a noi si è formato un capannello di persone che commentano la scena. Un uomo, un insegnante, col quale ho conversato a lungo, consiglia di non pagare, anche altri suggeriscono di non dare soldi. Il trafficone intanto minaccia di chiamare la polizia…Alla fine paghiamo € 50 ( 25 a coppia) commentando amareggiati: “se il buon giorno si vede dal mattino”…L’uomo si allontana sull’auto del compare e noi restiamo sotto il sole, circondati da una discreta folla di persone che vogliono vedere le moto e conversare.
Vogliamo però assolutamente stipulare un’assicurazione, lo consiglia la guida che ho letto, perciò in compagnia della moglie di Paoletto, torno alla dogana dove il milite di guardia, sentite le motivazioni, acconsente a farci rientrare e ci indica proprio l’edificio grigio che avevo visto mezz’ora prima. Entriamo in un ufficio polveroso, dove un impiegato siede dietro un bancone. Per fortuna parla inglese. Spiego di cosa abbiamo bisogno, chiedendo un preventivo. Quando sto per fornire i dati della moto, l’ex amica s’intromette dando invece i dati del suo Transalp. Quando il preventivo è pronto, l’impiegato comunica il prezzo in Rial e noi ci allontaniamo dal bancone per decidere il da farsi. La moglie di Paoletto non proferisce verbo, capisco però che, cellulare alla mano, sta facendo dei calcoli. Le chiedo di indicarmi il cambio coll’ euro, ma non mi risponde. Pensando non abbia capito, le ripeto la domanda. Per tutta risposta intima ad alta voce:” Sta zitta! Sto calcolando!” Alle mie rimostranze per i toni usati risponde seccatissima: “tu non capisci niente, lascia fare a me!” Non credo alle mie orecchie! Rispondo che facesse quello che crede, ma senza di me. Ciò detto giro i tacchi ed esco dall’ufficio arrabbiatissima. Nel frattempo all’uscita della dogana è cambiato il poliziotto di guardia. Il nuovo mi pone varie domande, tra cui se ho la carta bianca…!! “ Certo, l’ha mio marito che è laggiù, alla rotonda… vede la moto?” Rispondo. Allora mi fa cenno di passare. In quel momento sopraggiunge trafelata la “ signora” e l’uomo ora rivolge a lei le medesime domande. La furba risponde: “ Quale carta?… salvo la situazione esclamando in inglese “Yes, of course!” rispondo io, e lei “ ma no, ti sbagli, non c’è nessuna carta...” per fortuna il doganiere, seccato, fa segno anche a lei di passare.
Appena fuori mi assale con una serie di rabbiose rimostranze sul fatto di essere dovuta venir via dall’ufficio senza l’assicurazione. Le rispondo che poteva tranquillamente terminare l’operazione, ma di non azzardarsi mai più a trattarmi in quel modo. Tornate alle moto riferisco l’accaduto a K e Paoletto, esclamando poi: “Per me il viaggio insieme a questa persona dai modi villani può anche finire qui". A quel punto K si dirige a grandi passi al negozio da cui era in precedenza uscito e stipula l’assicurazione, loro anche.
A mezzogiorno inoltrato, stressati e nervosi, imbocchiamo la strada per Tabriz, dove arriviamo tre ore dopo. Gli iraniani guidano in modo folle…secondi solo agli albanesi! Per strada veniamo affiancati da ogni sorta di veicolo, il cui autista, al solo scopo di salutarci e di scattare foto alla moto, azzarda manovre spericolate. La disponibilità degli iraniani è fenomenale. Non avremmo mai trovato l’albergo N38°4.493' E46°16.913' senza l’aiuto disinteressato di un paio di persone che ci hanno condotto a destinazione da un capo all’altro della città! Decido di ignorare per il resto del giorno la compagna che mi tocca sopportare.
26 giugno
Tabriz- Miyandoab km. 200
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Dopo colazione usciamo dall’hotel a piedi, diretti al bazar. Giunti ad un ingresso entriamo passando dalla luce accecante alla penombra. C’incamminiamo facendo attenzione a dove mettiamo i piedi perché siamo entrati dal settore dei fruttivendoli ed il suolo è cosparso degli scarti degli ortaggi. Percorriamo diversi corridoi stretti e poco illuminati, dagli alti soffitti a volta, in mattoni. Passeggiamo per i vicoli sostando a curiosare tra le merci esposte. E’presto, però, molti negozi stanno aprendo solo ora. Il luogo è interessante e ancora molto genuino. Siamo gli unici turisti e possiamo osservare tranquillamente le merci senza che alcun commerciante cerchi di attirarci nel suo negozio per venderci qualcosa, come ci successe al bazar di Aleppo o a quello di Marrakech. Sono colpita dalla profusione di colori e odori nel suk delle spezie: i banchi della frutta secca, dei semi e delle spezie catturano subito la mia attenzione. Ad un crocevia, un simpatico signore sulla porta di un minuscolo negozio di monete ci rivolge la parola, in buon inglese. Vuole sapere da quale Paese proveniamo, che mestiere svolgiamo e, quando apprende che sono insegnante mi confida di essere stato un insegnante di storia. Poi chiede di scattargli una fotografia con noi. Usciti dal bazar cambiamo della valuta da…un gioielliere che ci pratica un ottimo cambio. Sono le 10,30 ormai ed è tempo di partire. Rientrati in hotel carichiamo le moto e ci dirigiamo a Kandovan, paesino caratteristico simile a quelli della Cappadocia.
Purtroppo vi arriviamo insieme al temporale, così dobbiamo cercare riparo in tutta fretta. Ci rifugiamo in un locale all’interno di un parco, con tettoie di lamiera che coprono i tipici letti/soppalchi, ricoperti di tappeti e cuscini, dove gli iraniani usano mangiare o bere il te. Pranziamo con zuppa di ceci, patate e carne, kebab e pane piatto, non lievitato ( nan) in grandi fogli. Unica nota stonata… non ho potuto bere la birra analcolica perché alle donne non viene servita! Paese maschilista!
Dopo un paio d’ore, passato il temporale percorriamo le stradine del paesino, osservando e fotografando le case trogloditiche, addossate le une alle altre: un villaggio di coni di tufo, scalinate e vicoli in pietra.
Abbiamo perso molto tempo perciò è tardi quando giungiamo a Miyando’ab, capoluogo della provincia di Miyandoab, situata alla fine del lago Orumyie. E’ una città popolosa, e ci fermiamo per orientarci, appena fermi siamo "circondati" da un gruppo di persone volonterose che ci indicano la strada per un albergo N36°58.088' E46°05.968'. Siamo stanchi perciò ci fermiamo per la notte qui.
27giugno
Miyandoab / Sanandaj 437Km.
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Partiamo la mattina presto da Miyando’ab per dirigerci al sito archeologico di Takht i Suleiman (Trono di Salomone). La strada si snoda tra montagne tondeggianti, color oro e bronzo. Ci troviamo a quota 1900 m. Attraversiamo terre aride, non c’è vegetazione se non lungo le sponde di un fiume, dalle acque color terra bruciata, attraversato il quale il percorso sale tra monti brulli; le casette di fango di un villaggio s’intravedono appena, ben mimetizzate nel paesaggio. Lungo la strada incrociamo alcune donne, non indossano il burqa, ma larghi calzoni alla turca e colorati copricapi. Il sito appare all’improvviso, dopo una curva: in cima ad un colle svetta la fortezza, circondata in parte dalle mura. Parcheggiata la moto, saliamo la ripida stradina che conduce all’ingresso, fiancheggiata da una cascatella. Paoletto invece si sdraia su un muretto per fare un pisolino, non prima di aver consegnato la macchina fotografica alla moglie, con la raccomandazione di scattare tante fotografie. All’interno rimane ben poco della fortezza, ma che meraviglia il lago d’acqua sorgiva di un acceso turchese. Camminiamo tra ciò che resta del tempio dedicato al culto zoroastriano; si ode solo il vento che irrompe dalle fenditure e il canto degli uccelli. Una grande pietra squadrata, l’altare, segna il punto in cui il fuoco sacro ardeva costantemente e c’immaginiamo come dovesse essere all’epoca, quando il fuoco sacro era tenuto sempre acceso.
Lasciato il luogo, dirigiamo le nostre moto verso Bejiar. Sostiamo all’ombra di un grande albero, a fianco della strada, per rifocillarci con biscotti e pistacchi. Inutile dire che, come sempre, veniamo attorniati da ragazzini che ammirano la nostra grossa moto. Si ferma anche un’auto e ne discendono due uomini che ci avvicinano, desiderosi di parlare con noi. Scambiamo quattro chiacchiere, poi ripartiamo in direzione di Hamadan. Purtroppo sbagliamo direzione e, quando ce ne rendiamo conto, abbiamo ormai percorso una cinquantina di km. Ci fermiamo ad attendere gli altri che sopraggiungono dopo una decina di minuti. Sono furenti, sostengono di non essere riusciti a raggiungerci per segnalarci l’errore e ci esortano a guardare lo specchietto e a fermarci quando non li vediamo. Come! Non ci avevano detto in Turchia di andare pure avanti che loro sarebbero arrivati “piano, piano?” - Ok, allora fate strada voi! - Esclamiamo. Ma Paoletto non vuole. Eh! Certo è più comodo per lui che si faccia strada noi! Comunque oramai è troppo tardi per invertire la direzione, non ci resta che proseguire su questa strada per Sanandaj, capitale del Kurdistan iraniano.