Poi è la volta della dogana uzbeka. Dobbiamo passare con la moto attraverso una grande vasca per “disinfettare” le ruote, poi c’è il controllo passaporti. Si passa quindi alla compilazione, in duplice copia, di un formulario e alla registrazione dei dati della moto. Gli uffici sono minuscole stanzette che si aprono su di uno stretto corridoio. E’ la una e mezza, non abbiamo mangiato nulla dalle 6 di stamattina e fa un caldo bestia. L’attesa si protrae a lungo perché gli addetti non capiscono i dati dei veicoli. A nulla servono le spiegazioni di Knut che mostra loro il libretto internazionale, non capiscono cosa sia e vanno avanti e indietro dalla palazzina degli uffici. Riusciamo a ripartire solo dopo le 15! Il paesaggio che attraversiamo è verdissimo! Campi di cotone, alberi da frutto, ortaggi. Attraversiamo piccoli villaggi di basse casette, allineate lungo un canale d’acqua e fiancheggiate da grandi alberi, davanti alle quali le donne lavano i tappeti…in mezzo alla strada!
Dopo un’ottantina di chilometri entriamo a Kiva dove prendiamo alloggio all’Asia hotel N41°22.411' E60°21.505', situato proprio di fronte alla Porta Sud della città vecchia. Dalle finestre della camera possiamo ammirare le altre mura di fango che circondano la zona antica. La sera ceniamo al Dilnura Cafè, situato fuori dalla Porta Est. Abbiamo percorso un paio di chilometri circa per arrivarvi, ma ne valeva la pena. Il locale è frequentato dalla gente del posto e si mangia bene ( pasto con 2 birre e il te 20000 som).
10 luglio
Khiva
Giornata dedicata interamente alla visita questa città-museo, dichiarata Patrimonio dell’Umanità. Dobbiamo recarci fino alla Porta occidentale per fare il biglietto d’ingresso più un altro per avere la possibilità di scattare fotografie. Scopriremo presto che tutto ha un costo aggiuntivo (salire nei minareti, entrare al Pavhillon Mamhud…) e che le venditrici uzbeke sono noiose come le mosche. Persino i bambini, anche i piccoli di un paio d’anni che ti barcollano incontro, salutano con “ Hallo” mentre tendono la mano esclamando “ bon bon” oppure i più grandi “ Money, Money”. Peccato che il turismo di massa abbia reso questa gente così!
Camminando su e giù per le stradine della cittadina in breve tempo siamo bagnati fradici di sudore. Il cielo è nuvoloso e sembra minacci pioggia. Visitiamo la fortezza di Ak, con la bella Moschea estiva, le diverse Medrasse, ora trasformate in musei e la Juma Mosque, particolare per l’interno tutto a colonne lignee finemente intagliate. Knut sale all’interno del Minareto più alto, 57 m. per vedere la città dall’alto, ma la fatica di salire, e scendere i 180 alti gradini non è ripagata dalla vista: per lo più tetti piatti di fango, antenne paraboliche e fili elettrici. Dopo una sosta in una chayhana per bere due birre gelate, ci rechiamo al bazar. E’ un grande mercato, per lo più all’aperto, e la zona coperta consiste di banchi sovrastati da tettoie. Non ha il fascino dei bazar iraniani e ci delude un po’. Dato il caldo-umido insopportabile decidiamo di comprare pistacchi e uvetta secca da mangiare in hotel per pranzo. Errore madornale che mi causerà un potente attacco di dissenteria e febbre a 39°.
11 luglio
Kiva
Dopo una notte agitata, l’antibiotico inizia a fare effetto. Rimango però a letto tutto il giorno dato che mi sento debolissima. Paoletto e la moglie sono partiti dopo colazione, mentre Knut mi tiene compagnia aggiornando il blog.
12 luglio
Kiva-Buqara 430 km.
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Sono sfebbrata da ieri pomeriggio, perciò questa mattina possiamo ripartire.
Alle 7,30 lasciamo Kiva, attraversando i suoi vicoli; passiamo addirittura in mezzo alla gente sdraiata a dormire nelle coperte, stese in mezzo alla strada! Percorriamo una novantina di chilometri su strade secondarie, il cui asfalto lascia un po’ a desiderare. Poi, giungiamo al ponte stradale/ferroviario sull’Amu Darya, l’antico Oxus. Il fiume, dalle acque marroni, è incredibilmente largo. Nato dal Pamir, lasciate le vette dell’altopiano attraversa queste terre desertiche, segnando prima il confine tra Tajikistan e Afghanistan e poi il confine tra Uzbekistan e Turkmenistan. Ho letto che la portata delle sue acque è stata più che dimezzata a causa delle canalizzazioni create in epoca sovietica per irrigare i campi di cotone. Ciò ha causato, nel corso dei decenni, il ritiro delle acque del Mar Caspio, nel quale una volta sfociava, mentre ora quel che resta del possente fiume si perde nel deserto. Che tristezza! Attraversato il ponte e scattate alcune istantanee, imbocchiamo la A380, cioè la strada principale che unisce le due antiche città, quella che una volta era la Via della Seta. Qui ha inizio un incubo che proseguirà per circa 150/160 chilometri. Come si fa a chiamare strada una cosa simile! La strada non c’è! Forse una volta era una strada, ora è solo un susseguirsi di buche, profonde anche 30 cm., terra, resti di asfalto sconnesso, accartocciato, dossi e cunette provocati dai grossi camion che la percorrono, e sabbia. In un tratto la sabbia ha invaso interamente la carreggiata e, quando vi passiamo sopra…la moto affonda, si rovescia su un lato e noi… anche! Per fortuna non ci facciamo male, atterrando sulla duna che fiancheggia il bordo strada e riuscendo a districare piedi e gambe da sotto la borsa d’alluminio. In nostro soccorso arrivano alcuni camionisti che, in men che non si dica, ci aiutano a risollevare la moto. Li ringraziamo e, dopo aver constatato che non ha riportato danni, ripartiamo. Ci vorranno quattro- cinque ore di slalom tra le buche, facendo attenzione a non venire investiti dai pesanti tir che non si fanno problemi ad invadere il nostro lato, prima di arrivare al punto in cui è pronta una carreggiata nuova, a senso alternato. Sono le 16,00 quando entriamo all’hotel Caravan di Buqara N39°46.574' E64°24.723', dove gli altri si trovano dalla sera precedente. Loro per arrivare hanno impiegato ben 12 ore! Possiamo quindi reputarci fortunati.
Dopo una bella doccia e un po’ di relax usciamo per visitare la città.
Il sole è ancora caldo. In giro si vedono solo turisti disfatti e…tutto sembra chiuso, morto. Troviamo finalmente un locale, dove sederci in terrazza a gustare due birre gelate, ammirando la vista sul minareto Kalon e le Medrasse. Rinfrescate le gole ci dirigiamo alla piazza del Minareto: è altissimo, in mattoni, traforato in cima. Visitiamo la Moschea Kalon, lì accanto, dalle splendenti cupole turchese e dall’ampio cortile, con un grande albero al centro. Vorremmo visitare anche la Medressa di Mir-i-Arab, che si staglia, gigantesca, proprio di fronte, ma l’accesso ci viene negato dai custodi. Boh! Sarà perché siamo considerati infedeli? Sono trascorse solo poco più di due decadi dalla caduta dell’Unione Sovietica e in così breve tempo la religione e le antiche usanze hanno ripreso il sopravvento. Lo aveva pronosticato già Terzani all’epoca in cui scrisse il suo interessante libro “Addio signor Lenin”.
Più tardi Knut ed io ci concediamo una romantica cena sulla terrazza del ristorante Dolon, osservando il cielo che trascolora e mentre la sera cala, si accendono le luci sui minareti. Tornando all’albergo notiamo che ora le strade sono animate da una folla di persone, famiglie intere che passeggiano, godendo del fresco notturno.
13 luglio
Buqara-Samarcanda km. 300 ca.
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Percorriamo la strada che separa le due antiche capitali in circa 5 ore. La strada presenta un asfalto discreto fino a 100 km circa da Samarcanda, dove iniziano i lavori in corso e vi sono tratti molto deteriorati. Niente di così terribile come quella affrontata ieri, ma sufficiente a dover prestare molta attenzione e rallentare. Ci fermiamo all’hotel Afrosiab N39°39.166' E66°58.098' per avere la possibilità di parcheggiare la moto e internet. E’ una grande struttura in puro stile sovietico, bruttina, ma la camera è confortevole e ha una vista splendida sulle cupole e i minareti. Lati negativi: non accettano carte di credito (come del resto anche nei precedenti hotel) internet costa 5 dollari l’ora e c’è solo dalle 6 alle 18!! Io avrei preferito un b&b, ma nessuno di quelli segnalati dalla Lonely disponeva di parking e di internet.
Ci hanno fatto parcheggiare la BMW all’interno di una specie di magazzino, con accesso diretto dalla hall, perciò ne ho approfittato per cambiare le gomme. Finalmente monto le HEIDENAU! Avrei voluto anche alzare un po’ la moto (è troppo bassa per la tipologia di strade che dovremo percorrere) ma quando ho svitato la parte terminale dell’ammortizzatore, ordinato appositamente con regolazione di altezza, ho scoperto che il filetto è rovinato, non riesco quindi a stringere il contro dado e devo lasciare la regolazione cosi com’è. Avessi avuto uno dei responsabili della Wilbers a portata di mano…! Più tardi ci dirigiamo alla piazza del Registan per ammirare il favoloso complesso alla luce dorata del tramonto: spettacolare veramente! Percorriamo poi un lungo viale alberato, pedonale, circondato da giardini verdi e fiancheggiato da moderni edifici…sembra di essere in Svizzera! Dov’è la città vecchia, quella dove vive la gente? Ci siamo solo noi e qualche altro occidentale dall’aria spaesata. Tutte le attività commerciali sono chiuse, ad eccezione di un piccolo supermarket. Non ci resta perciò che tornare sui nostri passi, alla piazza del Registan e da lì ripercorrere il lungo viale trafficato che conduce all’hotel, alla ricerca di un ristorante. Finalmente troviamo un locale che ha una terrazza all’aperto in alto, coi tavoli apparecchiati dove ci sediamo esausti ed ordiniamo la cena: ravioli al vapore e saslik, accompagnati da birra e te verde.
14 luglio
Samarkanda
In hotel conosciamo una coppia di italiani, di Bologna, che viaggia in fuoristrada. Provengono dal Tagikistan e confermano ciò che ci era stato anticipato in dogana: la frontiera di Pendzihikent ( Tagikistan/Uzbekistan) è chiusa. Ci consigliano di passare da quella più a sud, vicino Denav. Così facendo allungheremmo il percorso, ma eviteremmo di transitare da quella a nord, dopo la quale saremmo obbligati a percorrere l’Anzob tunnel, detto anche tunnel della morte. Dopo il litigio a Darvaza i rapporti coi due compagni di viaggio sono ora molto freddi. Li ignoriamo il più possibile. Noi decidiamo di percorrere il tragitto consigliato, Paoletto invece cerca di convincerci a passare da nord perché vuole fare il tunnel ( per poter dire che l’ha fatto, ovviamente) sua moglie, però, si oppone strenuamente. Noi restiamo fermi sulla nostra decisione, stiamo facendo il viaggio per noi e non per dimostrare qualcosa…lo invitiamo però a fare come crede, nella massima libertà reciproca. Ovviamente capitola…Poi Knut ed io, macchine fotografiche in spalla, usciamo nel sole, dirigendoci verso il complesso del Registan. Paghiamo ben 26000 som il biglietto (circa 10 dollari!) ma non li rimpiangeremo. Le tre imponenti Medrasse si fronteggiano, con i loro alti portali e le cupole turchesi. La più antica è quella di Ulughbek, sul lato ovest, ma la più interessante è la Medressa Tilla Kari, il cui interno presenta arabeschi e decori con lamine d’oro. L’ultima, la Medressa Sher Dor ha un curioso portale d’ingresso decorato con tigri. Ci attardiamo passeggiando nel vasto cortile, osservando le persone: vi sono anche parecchi turisti uzbeki. Sotto i portici che circondano il vasto spiazzo si trovano parecchi negozietti di souvenir e l’ufficio di un cambiavalute. Poi, saliamo su una specie di trenino elettrico per percorrere il lungo viale pedonale, al fondo del quale, a sinistra, si apre il bazar moderno! Lì è il capolinea da cui ci incamminiamo sotto il sole per raggiungere lo spettacolare viale dei Mausolei, Shan-i-Zinda. Meraviglioso luogo ove sono sepolti i membri delle famiglie di Tamerlano e di suo nipote Ulughbek. Si sale una ripida scalinata di mattoni prima di giungere nel “viale” vero e proprio, dove, a sinistra e a destra si ergono i magnifici santuari, interamente ricoperti di piastrelle di maiolica in tutte le tonalità del blu e del turchese.
Dopo la visita torniamo sui nostri passi, costeggiando il vecchio quartiere ebraico sino al viale pedonale, dove ci sediamo ai tavolini all’aperto di un cafè. Dalla nostra postazione abbiamo modo di osservare lo scorrere della vita quotidiana. Ci colpiscono le originali trovate per portare il pane! Dopo pranzo affrontiamo il caldo per visitare la moschea di Bibi Khanym, sposa cinese di Tamerlano. Su di lei c’è una leggenda curiosa. Si dice che commissionò l’opera ad un architetto che, innamoratosi di lei, rifiutò di proseguire i lavori se la regina non lo avesse baciato. Lei acconsentì, ma il bacio lasciò un segno. Al suo ritorno Tamerlano capì e fece giustiziare l’uomo. Da quel giorno le donne devono coprirsi con un velo per non suscitare tentazioni negli uomini. E’ un luogo suggestivo, tranquillo, dove ammirare i resti degli edifici che sorgono intorno al piccolo cortile, seduti all’ombra di grandi alberi. Tutt’intorno uno svolazzare di colombe e il richiamo chioccio delle ghiandaiaie.