La dogana mongola è per fortuna più veloce, ma, quando usciamo dagli uffici, sta diluviando e soffia un vento gelido. Che sfiga! Viste le condizioni del tempo e l’ora, 17,30, decidiamo di fermarci al villaggio di Mjiangani, che sorge proprio sulla frontiera. Troviamo un posto che ci offre una camera per 500 rubli N49°3.212' E89°27.793'. Le moto vengono riparate nel garage della famiglia che ci ospita, a cui fa la guardia un aggressivo cagnaccio che cerca di azzannarci le gambe ogni volta che gli giungiamo a tiro. E’ il primo assaggio di Mongolia e ci guardiamo intorno incuriositi. All’interno di un alto recito si trova la casetta di legno dotata di due camere, una a sei letti, per noi, l’altra che ospita una famiglia kazaka, una sala da pranzo e un ingresso con un piccolo mobile munito di catino per lavarsi e di uno specchio. All’esterno, vicino alla casa, c’è una grande gher in cui, in estate, alloggia tutta la famiglia: nonna, madre, padre e una vispa bimbetta. Nel punto più lontano del cortile è situato un gabbiotto in legno, il gabinetto, che consta solo di un buco praticato nelle assi del pavimento. Questa è la cosa più fastidiosa! Verso le 19 la nonna ci chiama per la cena. Ci fa accomodare al lungo tavolo da pranzo, in sala, e ci serve una gran quantità di “buzzi,” grossi ravioli con ripieno di carne di pecora, cotti al vapore. Mentre mangiamo abbiamo modo di osservare dalle finestre uno spettacolo che ci lascia inorriditi e ci toglie l’appetito. E’ arrivato un pastore a consegnare una grossa pecora che viene legata al recinto con una corda. Mentre il padrone di casa e il pastore stanno conversando, la pecora si libera ed inizia a correre per il cortile belando. La povera bestia viene placcata dal robusto padrone di casa che, aiutato dalla moglie, le lega le quattro zampe. Poi viene portata proprio sotto alla finestra della sala, dove viene sgozzata con un affilato coltello e poi tagliata a pezzi! Mi si rivolta lo stomaco, non voglio guardare la scena…
4 agosto
Mijiangani-Olgii 95 km
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Piove… piove… piove. Il cielo è plumbeo, il vento freddo, il termometro della moto segna solo 4,5° . Sono trascorse da poco le 8 quando partiamo; usciamo dal recinto e ci dirigiamo sulla strada in terra battuta, che la pioggia ha reso fangosa. Per i primi chilometri non incontriamo grossi problemi, nonostante il tempo. Fortunatamente le buche, anche se piene d’acqua non sono profonde e non si affonda nel fango. Ad un certo punto, però, la strada s’interrompe e siamo costretti a imboccare una pista stretta e molto fangosa. Devo scendere spesso dalla moto per alleggerirla e consentire a Knut di manovrare. Il punto critico si presenta sulla salita, che porta ad un passo a 2400 m. di quota. Smonto e m’incammino a piedi, mentre Knut conduce la moto slittando paurosamente sul fango. Quando mi supera gli grido di proseguire per non perdere ripresa sulla salita. Penso eventualmente di fare l’autostop al primo veicolo che transiterà. Invece non passa nessuno se non un camion in senso contrario, perciò non mi resta che avanzare. Procedo faticosamente nel fango… Ormai Knut e la moto sono spariti oltre la cima. A un certo punto la pioggia si trasforma in nevischio. Il freddo mi penetra dentro, mi gela le dita dei piedi e delle mani; chiusa nel casco ansimo come un mantice sulla salita che non finisce mai. Percorro così un paio di chilometri prima di raggiungere Knut che mi aspetta sulla cima. Risalgo sulla moto e ripartiamo. Dopo una lunga discesa ritroviamo la strada principale che, dopo una quindicina di chilometri, diventa asfaltata. Lanciamo grida di giubilo mentre acceleriamo per recuperare il tempo perduto. Giunti ad Olgii ci dirigiamo al Blue Wolf Camp N48°57.839' E89°57.963', dove affittiamo una grande gher per la notte. E’ un ambiente spazioso, con quattro letti disposti lungo la circonferenza, un tavolino e tre poltrone da campeggio al centro. E’ dotata di una stufa che ci facciamo subito accendere. Nel pomeriggio smette di piovere, perciò usciamo a fare quattro passi nella cittadina. Non offre niente di particolare se non qualche negozio e market. Il luogo è piuttosto triste e desolato; le strade sono in terra battuta, ora fangose per via della pioggia, al di fuori delle due arterie principali; mancano i marciapiedi e le case sono per di più tristi edifici in stile sovietico Sembra un posto dove ambientare un romanzo sulla vita di frontiera.
5 agosto
Olgii-al primo campeggio, 209 km ca.
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Sole, sole, sole! Lasciamo Olgii con un tempo splendido: il cielo è di un blu intenso, l’aria cristallina. Appena fuori dalla città ci fermiamo ad un tempietto buddista, circondato da quattro statue in pietra.
Sul davanti svettano due pennoni, ornati da drappi azzurri. Scattiamo parecchie foto, colpiti dalla semplicità del tempio. Ripartiamo cercando di indovinare quale sia la pista giusta da seguire, dato che ve ne sono diverse, tra loro parallele, a pochi metri l’una dall’altra, per cui, anche se abbiamo il Garmin con le mappe del Paese importate da Open Source, non è detto che siamo su quella giusta. Difatti dopo poco le piste si allontanano e notiamo che sulla nostra transitano solo veicoli in senso contrario. Siamo soli poiché gli altri due compagni, come al solito, sono rimasti indietro. Eppure stiamo viaggiando sui 50 all’ora! Ci fermiamo ad aspettarli e, quando vediamo sopraggiungere un pullmino locale lo fermiamo, chiedendo se sia la pista giusta per Khovd. Avuta l’informazione siamo costretti a tornare indietro per cercare gli altri due ed avvertirli che la pista non è quella. Quando li incontriamo spieghiamo loro l’inconveniente, esortandoli a mantenere un’andatura di almeno 30/40 chilometri l’ora, dato che abbiamo davanti 7/8 ore di viaggio e a non fermarsi di continuo o per lo meno lampeggiare per avvertirci. Anziché scusarsi si offendono esclamando che vogliono prendersi il tempo necessario per scattare fotografie…Rimpiangiamo ancora una volta di averli al seguito, ci sembra di fare del babysitteraggio! Ripartiti, dopo poco li perdiamo nuovamente...così ci fermiamo ad attenderli approfittando della sosta per scattare alcune foto a due pastorelli a cavallo, che si stanno avvicinando. Poi, mentre ripartiamo dirigendoci verso un grande lago, veniamo superati da due auto del Mongol Rally i cui occupanti ci salutano, suonando allegramente il clacson. Proseguiamo immersi in un paesaggio magnifico: montagne verdissime, dietro le quali spuntano cime innevate. La giornata si dipana attraverso scenari montani sempre diversi e splendidi. Unico neo i numerosi guadi, che Knut supera brillantemente, anche con la moto carica come un mulo. In quei casi scendo anch’io dall’Adventure e, insieme, entriamo in acqua per sondare il fondo, alla ricerca di eventuali grossi sassi. L’ineffabile P. invece, resta comodamente seduto in sella, ad aspettare che gli venga indicato il punto migliore per guadare, sempre e rigorosamente partendo per secondo. Giunti in prossimità di un ponte troviamo un vispo ragazzino che come fosse un vigile dirige il traffico. Indica alle auto del Rally di seguire la pista a destra, che attraversa un fiumiciattolo e risale su di un’alta sponda fangosa, a noi quella di sinistra, che passa su un ponte semi crollato, ma con spazio sufficiente a far transitare una moto. Il bambino ci chiede di scattargli una foto e si mette in posa. Lo accontentiamo mostrandogli poi il risultato. Sorride e ci chiede una penna. Gli regalo la mia, insieme ad un pacchetto di chewing-gum. Superato il ponte proseguiamo, cercando di riguadagnare il tempo perduto, ma i fiumi da attraversare non finiscono mai… così come i tratti insidiosi, con fango e/o terreno sabbioso. Il momento più bello ed emozionante della giornata si verifica quando, superato un passo montano, vediamo un pastore nomade, la cui yurta è poco lontana, fermo sul ciglio della strada con un’aquila sul polso: un’esemplare bellissimo. Scendiamo dalla moto e ci avviciniamo per scattare un paio di fotografie. Poi allungo il braccio, desiderosa di avere in mano tanta bellezza. Lui mi accontenta e, in un attimo, mi trovo con quel magnifico esemplare sul polso: quanto pesa! Ad un tratto l’aquila apre le ali e faccio appena in tempo a scostare la testa perché non mi arrivi l’ala in un occhio. Poi pagato il pastore, risaliamo in moto e ci allontaniamo. Poco dopo ritroviamo i ragazzi del Rally fermi ad un guado profondo che tutti, noi e loro, superiamo brillantemente. Verso le 17, esausti, ci concediamo una breve sosta per mangiare qualche biscotto e del cioccolato, visto che abbiamo saltato il pranzo. E’ in questo luogo che scorgiamo, tra grossi massi, una grande pietra su cui spiccano degli ideogrammi, accanto ad un bastone da cui pende una striscia di stoffa azzurra. Poco discosto biancheggia lo scheletro di un animale, forse uno yak. Dieci minuti più tardi ripartiamo perché Khovd è ancora lontana ed è ormai pomeriggio inoltrato. Cerchiamo di forzare, per quanto possibile, l’andatura, quand’ecco giungiamo ad un paio di laghetti, collegati da un corso d’acqua, davanti a cui sono ferme tre auto del Rally. I giovani stanno lanciando sassi nell’acqua per valutarne la profondità. Ci sentiamo morire!! Non ci resta che smontare dalla moto, seguiti dalla moglie di P, alla ricerca di un punto dove attraversare. Noi non possiamo passare dove sono transitate le auto perché la riva è troppo fangosa e non vogliamo rischiare d’impantanarci. Stavolta anche il comodo Paoletto scende dalla moto, e meno male penso, dovrebbe essere lui l’esperto di off-road! Invece è sceso…solo per scattare qualche foto, lasciando a Knut il compito di decidere qual è il punto migliore dove passare!! Alla fine Knut decide di guadare in un punto largo un paio di metri, ma dove, una volta arrivati sull’altro lato, si trova una striscia di terra fangosa, larga non più di un metro e mezzo, dopo la quale c’è il lago vero e proprio, per cui bisogna curvare subito a sinistra per non finire nel lago. Dopo che K è riuscito a passare deve scendere dalla moto e tornare da Paoletto ( Pinuccio) che non si decide a partire per paura di cadere nell’acqua. Ci vogliono le forze combinate della moglie e di Knut, che lo sostengono uno su ogni lato, per fargli superare il punto critico. Poco oltre c’è solo fango, a parte una strisciolina di terra di non più di 50 cm. di larghezza, che ha da un lato il lago e dall’altro del fango, dove Knut, per timore di finire nell’acqua rimane troppo a destra e…s’impantana! Uscito dal fango riparte facendo lo slalom tra buche, fango e acqua fino a superare questo dannato punto. Adesso siamo veramente stanchi e ci auguriamo che i guadi siano finiti, ma…non sarà così. Più avanti incontriamo altri tre team del Mongol Rally con i quali viaggia un motociclista inglese. Guadiamo insieme un altro piccolo corso d’acqua, poi ripartiamo insieme. Il ragazzo in moto a un certo punto accelera, ci supera e scompare dietro ad una curva. Quando svoltiamo anche noi vediamo che si sta rialzando dalla caduta, mentre la moto giace a terra davanti al muso di un Suv col quale s’è quasi scontrato. Knut ferma subito la moto di fianco a lui e, mentre scende per aiutarlo a sollevare la moto, sente gridare “ Spostatii!! Tanto lo aiuteranno i suoi amici!!” E’ l’ineffabile Pinuccio che non vuole fermarsi, così Knut si sposta leggermente per lasciarlo passare. Noi restiamo a parlare con il giovane, che nel frattempo è riuscito a sollevare la moto, per sincerarci delle sue condizioni. Appreso che non hanno riportato danni né lui né la moto, all’arrivo dei suoi compagni ripartiamo. In un attimo riprendiamo e superiamo i due egoisti con cui viaggiamo. Arrivati ad un punto in cui la pista si divide in due direzioni, con un cartellino indecifrabile volto a sinistra, ci fermiamo e li aspettiamo per decidere quale pista prendere, anche se, tanto il navigatore che la carta stradale, indicano di procedere diritto. Tutti quanti decidiamo che la nostra moto avanzerà per qualche centinaio di metri sulla pista indicata dal cartello, poi però il navigatore segnala che siamo in direzione completamente sbagliata, quindi torniamo indietro e tutti e quattro imbocchiamo l’altra pista. Percorso un chilometro circa incrociamo le prime auto del Mongol Rally, che incontrammo ai guadi iniziali, che stanno tornando indietro. Ci segnalano di fermarci e ci informano che più avanti la strada è interrotta da un fiume “largo come un oceano, impossibile da guadare!” Loro stanno tornando all’incrocio e proveranno l’altra pista. A quel punto invertiamo la marcia anche noi. Mentre stiamo tornando indietro, però, sopraggiungono il motociclista inglese e i suoi amici. Li fermiamo passandogli l’informazione appena ricevuta, loro però decidono di proseguire comunque e di accamparsi al fiume, sperando di poterlo superare il mattino seguente.
Noi invece torniamo al cartello e ci fermiamo lì, nella speranza che passi qualche locale e ci dia informazioni, perchè si è fatto tardi e non vogliamo avventurarci a casaccio sulle piste. Dopo pochi minuti arriva un’auto e Knut ed io, seguiti dalla moglie di P. le andiamo incontro. L’auto si ferma, è un altro team del Mongol Rally, con a bordo due ragazzi inglesi. Riferiamo loro l’informazione sul ponte crollato e chiediamo se conoscono in che direzione vada l’altra pista dato che tutti quanti siamo diretti a Khovd. ma ne sanno meno di noi su quale sia la direzione giusta. Ci confrontiamo guardando la loro carta stradale, più dettagliata della nostra, poi ci chiedono quale direzione hanno preso gli altri team. Mentre stiamo rispondendo, la moglie di P. cerca d’interrompere tutto il tempo esclamando: “ Posso fare una domanda?” Alla mia risposta di aspettare un attimo e mentre sto prendendo la carta stradale che i giovani mi stanno passando dal finestrino, la “ signora” incapace di attendere oltre, mi scaraventa via dal finestrino con un violento spintone. Knut mi prende al volo per non farmi cadere, mentre lei, con la testa infilata nell’abitacolo pone, nel suo inglese maccheronico, la sua domanda: “ se non incontravate noi che strada facevate?” I due la guardano allibiti, poi lei si allontana di corsa per tornare dal marito che, come sempre, è rimasto sulla moto. Noi ci scusiamo con i due inglesi che ripartono, poi, arrabbiati, ci dirigiamo dai due per avere spiegazioni sul comportamento assurdo e violento della “energumena”. Lei si giustifica dicendo che siccome non la lasciavamo parlare è stata costretta ad…agire! Incredibile! Non solo non si scusa per il suo comportamento inqualificabile, ma lo giustifica pure! Dopo questo grave episodio, detto loro cosa ne pensiamo del loro atteggiamento nei nostri confronti, Knut ed io saliamo in moto e partiamo urlando che saremmo andati al guado del fiume e ci saremmo accampati lì, con il gruppo degli inglesi e che loro facessero ciò che volevano! Così abbiamo fatto, mentre loro hanno deciso d'imboccare un'altra strada, forse per la vergogna! Ciò non ci è affatto dispiaciuto, anzi, è stato come liberarsi finalmente di un fastidioso sassolino nella scarpa. Arrivati al fiume però, non troviamo traccia dei team inglesi, che evidentemente sono riusciti a guadare. Noi non ce la sentiamo di tentare di attraversare l’acqua a quell’ora, con la moto carica e da soli. Inoltre il posto non invoglia a fermarsi per la notte, perciò invertiamo di nuovo la rotta tornando al fatidico bivio e stavolta prendendo l’altra direzione. Il sole è ormai al tramonto e sappiamo che presto farà buio, perciò acceleriamo. Arriviamo dopo un paio di chilometri ad un ponte N48°20.031' E91°20.186' sul fiume, dopo il quale la pista va nella direzione giusta. Viaggiamo piuttosto veloci e ben presto superiamo i due ex amici. Più avanti la pista diventa sabbiosa a tratti profondo. Decidiamo quindi di non rischiare a proseguire con l’oscurità e di trascorrere la notte in tenda. Usciamo dalla pista e , dopo aver percorso un centinaio di metri, fermiamo la moto nell’erba bassa e montiamo la tenda. Le zanzare ci assalgono subito. Mamma mia come sono fameliche! Per cena cuciniamo una “ mexicansk gryte” che divoriamo con gusto, annaffiandola con la vodka acquistata in Russia. Prima di ritirarci per la notte restiamo ad ammirare il cielo stellato, mentre un’enorme luna sorge da dietro la collina: che spettacolo!
6 agosto
Khovd 27 km ca.
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Svegliati di buon’ora, dopo una tazza di caffè smontiamo l’accampamento, poi partiamo alla volta di Khovd. La pista è brutta, attraversata da profondi solchi fangosi lasciati dai camion, poi, ormai in vista di Khovd, si allarga moltissimo, ma diventa toule ondule e dobbiamo procedere molto lentamente. Entriamo in città alle 11 circa. Dopo la notte trascorsa scomodamente nella piccola tenda decidiamo di cercare un hotel che disponga di servizi in camera. Segnaliamo l’albergo Grand Hotel N48°00.212' E91°38.511' che per 55000 MNT ( 33€ ) ci fornisce una stanza delux composta da un bel soggiorno con divani e frigo, camera da letto e bagno fornito di doccia e di acqua calda. La Lonely Planet ha sbagliato ad indicare come miglior scelta il Buyant, l’ha confuso con questo! La giornata, iniziata alla grande, è diventata stressante quando, dopo pranzo, abbiamo cercato di prelevare contante dallo sportello ATM sito nell’hotel. Inserita la carta, il pin e digitata la cifra…s’è bloccato senza erogare i soldi né restituire la VISA. Mentre tentavamo di riavere la carta di credito sono sopraggiunti due funzionari della Golomt Bank che ci hanno informato che l’apparecchio bancomat non funzionava. Spiritosi! Cancelliamo l’operazione e, dopo vari tentativi infruttuosi, riusciamo a ritirare la carta. A quel punto facciamo presente ai due personaggi che avrebbero dovuto apporre un cartello sulla macchina per segnalare il guasto. Si scusano con noi, così ce ne andiamo. Poco dopo, però, mentre siamo al supermercato a fare la spesa, sul cellulare arriva un sms della VISA che comunica di aver autorizzato un prelievo. Preoccupati torniamo di corsa al bancomat dell’hotel, dove ritroviamo gli stessi funzionari. Spiegato l’accaduto una telefona alla banca, mentre l’altro, su nostra richiesta, ci accompagna alla sede della Golomt Bank. Impiegheremo tre ore e parecchia inc…ra per riuscire ad avere i nostri soldi. Usciti dalla banca siamo talmente stanchi e stressati che torniamo in albergo.
Più tardi scendiamo per cena al ristorante dell’hotel, dove facciamo amicizia con un gruppo di russi. Sono tre coppie ed un ragazzo che viaggiano su tre BMW GS Adv come la nostra e su un Suv. La serata trascorre in allegria, annaffiata da una bottiglia di whisky e da una di vodka. Conversando piacevolmente apprendiamo che alcuni di loro sono siberiani di Krasnoiarsk, mentre gli altri sono della repubblica di Tuva. Il gruppo è diretto al lago Kurs Nuur, per campeggiare e dedicarsi alla pesca alcuni giorni e dirigersi poi verso la frontiera di Tashanta, superata la quale intendono soggiornare negli Altai. Ci chiedono informazioni sul percorso che abbiamo seguito il giorno prima, poi ci propongono di unirci a loro per trascorrere alcuni giorni insieme al lago. Accettiamo con piacere perché tra noi si è instaurato un feeling positivo e abbiamo voglia di stare in compagnia di “persone normali”.
7 agosto
Khovd-Olgii Uws 146km.
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L’appuntamento con i russi è per colazione nel nostro hotel/ristorante, alle 9,00, per cui ci alziamo con comodo. Alle 8,15 la padrona si presenta alla porta della nostra camera con un grande vassoio con la colazione…capiamo così che l’hotel e il ristorante fanno parte di due gestioni diverse e che il secondo è chiuso! Ci affrettiamo a mangiare, poi, preparati i bagagli, mentre Knut scende nel cortiletto a caricare la moto, io esco in strada ad aspettare i russi. Quando arrivano e dico loro che il posto è chiuso si suddividono in tre gruppetti e partono alla ricerca di un locale aperto dove mangiare qualcosa. Niente da fare, è troppo presto ed è ancora tutto chiuso. A quel punto ci accordiamo per ritrovarci al loro albergo, di lì ad una mezz’ora, perché devono fare i bagagli. Così, poco dopo, li raggiungiamo e, dopo un’altra mezz’ora, partiamo insieme. Mentre noi accompagniamo due dei motociclisti in banca a cambiare i rubli, gli altri vanno a fare spesa. Ci si ritrova tutti dopo un po’ per andare a fare il pieno e si parte. Purtroppo mi accorgo di avere perso un guanto, perciò Knut torna indietro a cercarlo. Inutile dire che alla fine li abbiamo persi di vista, fatto sta che, non ritrovandoli ed essendo ormai le 11, decidiamo di dirigerci da soli verso nord, per Ulaangom, come prevedeva il nostro programma originario. Per i primi 40 chilometri la strada è asfaltata. La steppa lascia il posto a verdissimi prati e boschetti, notiamo anche dei canali irrigui. Avevamo letto che da queste parti vive una donna, chiamata la Tara Verde, che si dice abbia liberato la zona dagli spiriti maligni, trasformandola in un verde luogo di pace che si estende lungo il delta del fiume, che sfocia nel lago Kuurs Nuur. Abbiamo il desiderio di trovare la casa della medium, ma le indicazioni della guida non sono esaustive e non riusciamo a individuarla. Non vediamo neanche persone a cui rivolgerci, perciò, anche se dispiaciuti, proseguiamo per la nostra strada, che da asfaltata diventa solo una pista di sabbia. E’ un tormento dover procedere a non più di 10 km l’ora, dato che siamo troppo pesanti. Ora si viaggia in una steppa cosparsa di cespuglietti spinosi e ciuffetti d’erba rada. Basse montagne rosso-ocra si elevano ai margini della piana semidesertica. Fa molto caldo; viaggiamo senza incontrare quasi nessuno, ad eccezione di due ragazzi, a bordo di un motorino, che si fermano subito vicino a noi per osservare la moto da vicino e sapere chi siamo. Salutati i due, più avanti sostiamo per mangiare qualcosa. Mentre divoriamo un po’ di pane e formaggio, ci guardiamo attorno: il silenzio, la monotonia del paesaggio, seppur brulicante di vita ( uccellini, scoiattoli di terra, lucertole, falchi e fiori) le lontane colline rossastre, danno una sensazione d’irrealtà. Più tardi, poco prima di arrivare al villaggio di Olgii ( poca fantasia chiamare i paesi con gli stessi nomi) avvistiamo un gruppo di cammelli selvatici. scesi dalla moto ci avviciniamo lentamente agli animali per fotografarli. Loro, però, avvertita la nostra presenza, iniziano a dar segni di nervosismo, perciò, dopo avere scattato alcune foto, ci allontaniamo. Questo momento di grande emozione spazza via la stanchezza e la tensione nervosa accumulate nelle ultime ore. E’ pomeriggio inoltrato ormai, perciò decidiamo di sostare per la notte in paese. Il nostro ingresso nel villaggio non passa inosservato. Si avvicinano a noi diversi ragazzini sulle tipiche motorette per vedere da vicino la nostra cavalcatura, così facciamo capire che cerchiamo un posto dove trascorrere la notte. Due di loro ci fanno segno di seguirli, poi partono sgommando e sollevando polvere. Mentre li seguo penso che forse ci stanno solo prendendo in giro poiché ci conducono da un capo all’altro del villaggio, passando e ripassando negli stessi punti. Poi, quando hanno mostrato a tutti che siamo con loro, si dirigono verso un recinto. Uno dei due smonta dal motorino e apre il cancello di legno. All’interno vediamo tre gher piantate in un ampio spiazzo, vicino ad una casetta di legno. Capiamo che i ragazzi abitano lì. Siamo fortunati, perché la madre ci affitta una delle gher per la notte N49°2.054' E92°2.245'. E’ grande, provvista di una stufa e di quattro letti.
Scaricati i bagagli ci sediamo fuori a chiacchierare con le bambine della padrona. Sono carine, e desiderose di sfoggiare l’inglese imparato a scuola ci pongono domande su chi siamo e da dove veniamo. Quando sentono che arriviamo dall’Italia sorridono felici esclamando: “Ohhh!” Scattiamo loro alcune fotografie, poi, la maestra che è in me si risveglia e do loro gli ultimi pastelli colorati, chiedendo in cambio un disegno. Le bambine iniziano a disegnare coi colori nuovi, poi scrivono i loro nomi e l’indirizzo del luogo chiedendoci di spedir loro le fotografie.
Prosegue in Mongolia Pag.2