4 luglio
Yazd- Garmeh (312 km.)
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Riusciamo a partire dal Mehr Traditional hotel solo alle 8,15. Impieghiamo parecchio tempo per trovare il modo per uscire dalla città. Le nostre mappe gps per l’Iran non sono buone e, come al solito, tocca a noi trovare la strada giusta. Imboccata la statale, al bivio per Karanaq svoltiamo. Una sosta al piccolo villaggio ci è stata consigliata da Saghi, per vedere il particolare “Minareto ondeggiante”. Il posto è un piccolissimo borgo che pare abbandonato. Parcheggiata la moto, c’incamminiamo a piedi e, giunti ad un edificio che pare essere una moschea, entriamo. Il guardiano, un albino alto e robusto, dai modi burberi, ci stacca due biglietti e ci guida attraverso i resti delle antiche abitazioni sino al minareto. E’ una grossa torre, all’interno della quale si sale attraverso una stretta scala a chiocciola, fino ad uno stretto ballatoio, esterno e senza parapetto, dal quale ci si può affacciare. Da lì si entra in un “ buco” 50 cm per 50 da dove ci si arrampica su di un’altra strettissima scala a chiocciola doppia, un lato serve per la salita, l’altro per la discesa. Alla sommità si sosta in un ridotto spazio (20 x 50 cm). Se c’è vento il minareto oscilla. In mancanza di vento il guardiano ha urlato a K di spingere contro le pareti, come per far oscillare un albero e…ecco che la struttura ha iniziato ad oscillare, fatto strano dato che è in mattoni! Dopo, il solerte custode ci ha condotto attraverso i vicoli e i resti delle case, sino alla nuova moschea. Questo buffo uomo ha continuato a scandire “ordini” ed istruzioni in farsi, gesticolando e accompagnandosi con fischi modulati se ci attardavamo a scattare fotografie. “ Sarà imparentato con gli uccelli” ci siamo detti ridendo! Tornati verso la Moschea ci ha mostrato i Kanat (canali d’irrigazione) spiegandoci che in uno le donne lavano i panni mentre l’altro contiene acqua pulita, da bere. Terminato il tour e tornati alla moto i pochi abitanti del paesino erano tutti intorno a noi, mentre la nostra guida dava loro spiegazioni su di noi. Ci trattava un po’ come se gli appartenessimo! Abbiamo dovuto declinare il suo invito a pranzo perché attesi alla Guest house nell’oasi di Garmeh. Da Karnaq la strada si snoda per un bel pezzo in una piatta terra arida che preannuncia il deserto. Al nostro arrivo alla Guest House Ateshooni N33°31.609' E55°2.335' il proprietario ci ha dato il benvenuto con una freschissima limonata, fette di cocomero e dolcetti. La casa sorge nel piccolo villaggio di Garmeh, circondato da una vasta oasi di palme da dattero. Più tardi ci siamo aggregati a due ospiti svizzere per una corsa in auto nel deserto, alle grandi dune di sabbia, per ammirare il tramonto. Giunti sul posto, mentre le svizzere effettuavano un giro a dorso di cammello, noi abbiamo camminato per un’ora circa, scalando le dune, ascoltando il suono del vento e godendo del panorama intorno. Siamo tornati alla guest house verso le 22,00 e abbiamo cenato con riso selvaggio con fagioli, polpette di carne di cammello, pomodori, insalata e yogurt. Una cena molto gustosa!
5 luglio
Garmeh-Bastam (483 km.)
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Stamattina ci siamo alzati presto con l’intenzione di sfruttare le ore meno calde del giorno per il viaggio attraverso il deserto salato (Dasht e Kavir). Nonostante ciò si son fatte le 8,30 prima di poter partire perché Paoletto e la moglie hanno voluto fare una passeggiata nel palmeto…Dopo il sorgere del sole la temperatura sale rapidamente. ci sono già 33° a quest’ora! Per la prima volta abbiamo riempito la sacca camel back con 2 litri d’acqua che K ha poi messo in spalla. E’ come avere uno zainetto! Dopo Jandaq, circa 140 km. il paesaggio è divenuto sempre più arido. Sparite anche le erbacce spinose non è rimasto altro che il piatto deserto del Dasht e Kavir, chiamato anche deserto bianco per via del sale. La terra spaccata, riarsa, completamente priva di verde ci ha fatto una strana impressione. Ho pensato alle carovane dei mercanti che un tempo percorrevano la Via della Seta, attraversando questa landa inospitale e…ho sentito un brivido! Non abbiamo fatto che bere, bere e ancora bere acqua dal nostro “ cammello portatile”. Le uniche soste effettuate sono state per rifornirci di carburante e acquistare bottigliette di acqua fredda. E proprio durante l’ultimo rifornimento di carburante abbiamo fatto uno sgradevole incontro. Mentre K ed io conversavamo con i passeggeri di due vetture fermatesi di fianco a noi, sgranocchiando pistacchi e mandorle salate offertici da due bambini, abbiamo udito le voci alterate di Paoletto e della moglie provenire dalle pompe una trentina di metri più in là. Erano stati avvicinati da due uomini in borghese, mentre facevano benzina, che volevano vedere i loro passaporti. Lei si era affrettata a coprirsi il capo e discuteva animatamente con i due. Poi li abbiamo visti salire in moto, partire e, passando vicino a noi, esortarci ad allontanarci poiché i due individui sembravano loschi. Mentre, attoniti, ci infilavamo i caschi i due uomini si sono avvicinati a noi, chiedendo se parlavamo farsi o inglese e chiedendo di mostrare i documenti. Abbiamo notato che le persone con cui avevamo conversato sembravano impaurite e si allontanavano Noi abbiamo detto di no e saliti sulla moto siamo partiti. Uno dei due aveva però afferrato il cellulare. Raggiunti gli altri ci siamo fatti spiegare l’accaduto. Percorsi alcuni chilometri un’auto della polizia, che ci seguiva, ha fatto segno di fermarci. Abbiamo obbedito e chiesto ai due poliziotti il motivo. Uno, col mitra spianato, non diceva nulla, l’altro sorrideva e tergiversava…poi è sopraggiunto uno dei due uomini in borghese di poc’anzi. E te pareva! Ha parlato coi poliziotti, poi, avvicinatosi ai nostri compagni ha chiesto loro i documenti ed ha iniziato a porre domande alla moglie di Paoletto sul perché non avesse il capo coperto. lei rispondeva negando, dicendo che aveva solo tolto il casco e subito infilato il foulard…dopo un po’ l’uomo s’è avvicinato a noi, ha chiesto i documenti, ma, dato che non rispondeva alle domande su chi fosse e sul perché fossimo stati fermati, li abbiamo consegnati al poliziotto, che però glieli ha passati. A quel punto abbiamo chiesto “Who are you?” What did we do?” Alla risposta “I’m a bashish” ho capito che doveva essere uno di quei personaggi che presero parte alla rivoluzione e che controllano la “morale” dei cittadini, delle donne in particolare. Ha iniziato a porci domande, a guardare minuziosamente i passaporti, a contestare a K che andava troppo veloce, mentre noi negavamo e abbiamo minacciato di chiamare la nostra ambasciata se non ci lasciava andare subito…Intanto il tempo passava, faceva un caldo insopportabile e…il poliziotto sembrava sempre più in imbarazzo, mentre il baschish non sapeva più cosa inventarsi per non darcela vinta. Ha persino chiesto a noi se avevamo una penna, dopo che il poliziotto gli aveva risposto di non averla!….dopo una mezz’ora di questa pantomima ci ha lasciato andare senza conseguenze e abbiamo potuto proseguire. Eravamo comunque furiosi con quell’oca che ci siamo portati al seguito e con l’idiota fanatico. Mi è però rimasta appiccicata addosso una sgradevole sensazione. Ho capito cosa deve essere vivere qui per una donna e…non vedo l’ora di uscire da questo Paese!
Ci fermiamo solo a metà pomeriggio, nella cittadina di Bastam, ad un hotel dell’Ente del turismo iraniano, che sorge all’interno di un parco pubblico.
N36°26.083' E54°58.274'
6 luglio
Bastam-Quchan
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Di nuovo giù nel deserto. Il caldo diventa pesante da sopportare, ma la cosa peggiore è attraversare questo territorio così spoglio, nudo, secco. L’anima anela un po’di verde…poi si sale in quota, attraverso montagne ocra e marrone. Altri chilometri che sembrano infiniti, spezzati solo dalle soste per il carburante e per comprare dell’acqua. La camel back si rivela ancora una volta utilissima, dato che l’acqua si conserva fresca. All’improvviso appare un branco di dromedari, saranno una trentina e stanno brucando. Fermiamo la moto e ci avviciniamo agli animali per fotografarli. Altri ci hanno preceduto. Quando vedono le moto si dirigono verso di noi e…si ripete la solita scena: “Welcome” “ Da dove venite?” Ci circondano desiderosi di vedere da vicino e toccare il nostro “mostro”. Poi chiedono il permesso di scattare fotografie e…non finiscono più! Ripartiamo e ci fermiamo solo verso mezzogiorno, sulla strada, per acquistare un melone dai contadini. Ne prendo uno bello pesante e K lo lega sulla borsa posteriore, poi si riparte. Ci fermiamo più avanti, tra i monti, ad uno specchio d’acqua tra gli alberi, dove molte famiglie iraniane stanno facendo pic-nic ( agli iraniani piace trascorrere i giorni di riposo in questo modo). Dopo un pasto frugale a base di melone e pistacchi ripartiamo alla volta di Quchan. Il paese dista un’ottantina di chilometri dalla frontiera con il Turkmenistan. Giunti a destinazione scopriamo che non vi sono hotel. Un bel giovane, distinto, si avvicina a noi e, in ottimo inglese ci domanda se abbiamo bisogno di aiuto. Gli chiediamo se conosce una caykana segnalata dalla Lonly Planet. Insieme all’amico alla guida di un’auto ci accompagna fino al luogo e funge da interprete con la proprietaria della modesta locanda. Camere libere ci sono, ma il problema è che dovremmo lasciare i veicoli in strada…Notata la nostra perplessità, dopo essersi consultato con l’amico, ci invita a trascorrere la notte come ospiti a casa dell’amico e dei di lui fratelli. Accettiamo l’offerta e li seguiamo attraverso tutta la cittadina. Arrivati all’abitazione troviamo ad attenderci le sorelle e i fratelli dell’ospite, la giovane sorella di Mamud, il ragazzo che si è offerto di aiutarci, un amico e la moglie. Ci fanno parcheggiare le moto nel cortile, poi, tolte le scarpe, ci invitano ad accomodarci nell’ampio salone, sui magnifici tappeti che ricoprono il pavimento. Ci offrono del te e c’invitato a considerarci come se fossimo a casa nostra. La sera prepariamo insieme una cena a base di spaghetti al ragù, accompagnati da peperoni, cipolle ed una fresca bevanda a base di yogurt. La serata prosegue poi conversando sui diversi usi e costumi dei rispettivi Paesi, sulla politica e la religione, con Mamud che funge da interprete tra noi e gli amici. L’ospitalità di questi giovani che ci hanno aperto le porte della loro casa, offrendoci le loro camere, rifocillandoci e mettendosi a nostra disposizione ci ha davvero toccato il cuore. Questi momenti di condivisione, allegria, risate, foto scattate a ripetizione gli uni agli altri, il piacere e la curiosità di conoscersi…resteranno per sempre nei nostri cuori.
Ecco, dopo stasera posso davvero dire che la gente amichevole, gentile, ospitale di questo Paese non merita la fama negativa che ha in occidente a causa di chi la governa.