19 luglio (giovedì)
Khorog
Giornata di riposo trascorsa passeggiando nel grande mercato e cercando di prelevare contante, impresa alquanto difficile.
Nel pomeriggio ci rilassiamo in camera aggiornando il blog e facendo il punto della situazione. Il tempo passa e siamo indietro sulla tabella di marcia, ci rendiamo conto che di questo passo rischiamo di non farcela a compiere l’itinerario programmato. Così più tardi cerchiamo gli altri per ragionare sulla situazione. Li troviamo in giardino, seduti in uno dei gazebo. Affrontiamo l’argomento, carte alla mano, spiegando che siamo in ritardo sul programma prefissoci e che non possiamo perdere altri tre giorni per andare ad Iskashim (180 km) dove due giorni dopo si terrà un mercato, su un’ isola in mezzo al fiume che separa i due Stati, e poi tornare indietro o non resteranno giorni per il Kirghizstan e la Mongolia, senza contare la Siberia. La reazione di Paoletto è la solita: s’arrabbia subito, non ci lascia parlare, anziché argomentare interrompe in modo aggressivo, finchè esclama che uno degli obiettivi del “suo” viaggio è di andare al mercato afgano e percorrere poi il Wakan Corridor. A quelle parole gli ricordiamo che si è unito a noi sapendo benissimo che il nostro scopo, il nostro sogno era percorrere la Via della Seta, la Pamir Highway, arrivare in Mongolia e tornare dalla Siberia. Chiariamo che abbiamo perso dei giorni anche a causa della loro lentezza e non intendiamo perderne altri. Poi, vista l’impossibilità di continuare una discussione sterile, diciamo loro che noi l’indomani lasceremo Khorog e partiremo seguendo il programma prefissato, ma che non pretendiamo che loro facciano lo stesso, sono liberi di fare come vogliono, ma noi anche. Ricordo loro che a Milano, durante una delle serate trascorse a mettere a punto il tutto, avevo specificato che, visto che non ci conoscevamo bene, era meglio accordarsi sul fatto che saremmo partiti insieme, ma con la MASSIMA LIBERTA’ RECIPROCA! Ora vorrei aggiungere anche col “massimo rispetto”, ma so già che non capirebbero!
Visualizza da Khorog a Osh in una mappa di dimensioni maggiori
20 luglio
Khorog-Jelandy 120 km ca.
Oggi siamo entrati a tutti gli effetti nella regione del Pamir. Abbiamo percorso lentamente la strada che attraversa la valle del fiume Gunt, salendo dai 2000 m di Korog ai 3500 di Jelandy. ma andiamo con ordine.
Subito dopo colazione, mentre K. carica i bagagli sull’Adventure, cerco Paoletto e la moglie per salutarli. Li trovo seduti sulle panche di un gazebo, davanti al computer, hanno le facce cupe. Mi fermo comunque ad augurar loro buona strada, aggiungendo che pensiamo di raggiungere il confine Kirghiso in tre giorni ca. per cui potremmo forse ritrovarci più avanti. Mi sembrano sollevati e, per lo meno, ricambiano il saluto. Poi raggiungo Knut e partiamo. Sbagliamo strada un paio di volte uscendo dalla cittadina, poi imbocchiamo quella giusta.
Dopo pochi chilometri arriviamo ad un posto di blocco sito all’ingresso della valle di Gunt, dove i poliziotti addetti al controllo dei permessi GBAO, ci negano l’accesso perché sostengono che sul visto non compare il nome di un paese in questo tratto. Siamo sorpresi e increduli. Siamo certi di avere i permessi, dato che in Italia avevamo compilato attentamente il formulario, indicando tutte le località sul percorso per le quali era necessario un permesso speciale. Discutiamo parecchio con i due inflessibili soldati perché rischiamo di dover tornare a Khorog e prendere la strada per Iskashim. Poi accenniamo al fatto che potremmo pagare se ci rilasciassero il permesso e… sono subito più disponibili. Pagata la “tangente” di 40 somoni, ci fanno passare. Speriamo che il successivo controllo sia solo prima di Murgab,dove ci è consentito transitare. La M41 è in buone condizioni, si snoda attraverso un paesaggio magnifico, tra la catena dei Shugnan Range a destra e quella dei Rushan Range a sinistra. Maestosi, imponenti picchi innevati, di oltre 5000 m, si stagliano su entrambi i lati della valle percorsa dal fiume Gunt, un turchese incastonato che scorre tra filari di alberi e campicelli coltivati a grano, patate e fieno. Pranziamo in riva al fiume con pane, pomodori e sale, accompagnati da un’aranciata. In prossimità dei villaggi si deve prestare attenzione ai cani che, come ci vedono arrivare, si lanciano all’inseguimento. Oggi abbiamo deciso di prendercela comoda e di pernottare a Jelandy, a3500 metri di altitudine, per acclimatarci, visto che domani supereremo quota 4232 metri. Troviamo una sistemazione spartana al Kurort ( centro di cure termali) di Jelandy N37°34.532' E72°34.948', molto frequentato dai Tajiki. Posso così rilassarmi nella vasca termale, con acqua solforosa a circa 45°, insieme ad un gruppo di donne locali: molto rilassante! Peccato non parlare il russo perché loro sono desiderose di
conoscermi. Ora, sono le 19,30, Knut sta cucinando un risotto liofilizzato sul fornellino Multifuel della Edelrid.
21 luglio
Jelandy-Murgab 198 km
Al risveglio, questa mattina, notiamo che le cime dei monti intorno sono bianche, segno che durante la notte lassù è scesa la neve. Difatti l’aria è decisamente frizzante quando usciamo a caricare la moto. Percorriamo 198 chilometri attraverso un paesaggio magnifico, godendoci la vista delle montagne che si susseguono. Non so se scattare foto ai monti a sinistra o a quelli sul lato opposto! E’ stata una lunga e tranquilla cavalcata attraverso passi ad oltre 4200 metri di quota e poi giù per valli sul cui fondo scorrevano i torrenti. Il fondo stradale è discreto, tranne che per una trentina di chilometri prima e dopo il passo Koi Tezek (4278 m.). Superato il quale si percorre un vasto altipiano. Adesso si ha l’impressione che le montagne che lo circondano si siano “ritirate”! Quando la strada sbuca sulla desolata piana di Alichur proviamo una strana sensazione d’irrealtà. E’ bellissima: un paesaggio lunare, punteggiato da tre laghetti, e tutt’intorno un susseguirsi di monti color ruggine, marrone, ocra, verde marcio, spruzzati di bianco sulle cime più alte. Verso le 14 affamati sostiamo a quota 4000 e passa metri per cucinare una zuppa. Avevamo proprio bisogno di scaldarci un po’ poiché la temperatura ha sempre oscillato tra i 9° e i 16°. Arrivati al villaggio di Murgab cerchiamo un posto per dormire alla Guest House di Shourab N38°10.591' E73°58.097', che la solita guida segnala con camere confortevoli con bagno. Ci sono solo due grandi camerate, una con sei letti, l’altra con dei piumini stesi sui tappeti del pavimento. Scegliamo la camerata con le brande, dove,essendo gli unici ospiti resta tutta a nostra disposizione. Unico inconveniente è la toilette, situata in un gabbiotto di legno distante dall’edificio, che consiste di un buco nel pavimento. Per noi è una novità, ma scopriremo che per gli abitanti dei poveri villaggi è la norma. A fianco c’è una casupola, al cui interno si trova una stanzetta caldissima, tipo sauna, munita di due bidoni e di catini in cui miscelare l’acqua per fare una doccia. Nello spiazzo antistante l’edificio con le camerate si trova una gher dai particolari disegni. Il posto è comunque pulito e da queste parti vuol dire molto. La gente in questo villaggio è molto povera, vive in condizioni disagiate, è sprovvista di acqua corrente e la luce arriva solo a tarda sera. Ci adattiamo. Trascorriamo il resto del pomeriggio conversando con Daniel, un ciclista svizzero, che viaggia in solitaria e recandoci al bazar del paese per fare acquisti di cibo e bevande. Il bazar consiste in una serie di container di ferro, i negozi, che vendono un po’ di tutto. La cena ci viene servita in un salone ricoperto da tappeti e cuscini, sui quali veniamo fatti accomodare insieme al ragazzo svizzero.
22 luglio
Murgab-Kara Kul 132 km
E’ l’alba, mi sveglio per andare alla toilette. Esco dalla casetta e mi godo lo spettacolo del sole che indora le cime dei monti. Prendo la macchina fotografica e scatto una foto, con la yurta in primo piano. Partiamo alle 8, subito dopo colazione,.
La giornata è luminosa, l’aria cristallina e fresca. La strada si snoda tra i monti, costeggiando il fiume Akbaital. Il panorama è splendido: alla nostra sinistra si elevano cime di oltre 5500 metri, bianchissime, talune incappucciate dalle nubi, mentre a destra monti scabri, color ruggine, spiccano contro il cobalto del cielo. La strada conduce al passo Akbaital, a quota 4655 metri, su cui ci fermiamo. Scesi dalla moto immortaliamo il momento, scattando parecchie foto. Peccato che le cime siano parzialmente coperte dalle nuvole! Proseguiamo sobbalzando sulla sterrata che scende dal passo. Costeggiamo per parecchi chilometri la frontiera cinese. In alcuni punti corre vicinissima alla strada, solo pochi metri ci separano dalla Cina! Arrivati alla piana del lago Karakul, 3900/4000 metri di quota, lo scenario che si presenta ai nostri occhi ci lascia senza fiato: le acque del lago scintillano, più azzurre che mai, sullo sfondo di una catena di alte montagne, le cui vette candide brillano al sole. A destra s’innalzano altri picchi, coperti di neve. Non abbiamo mai visto niente di più spettacolare! La bellezza del luogo ci fa decidere di fermarci nell’omonimo villaggio, anche se è presto. Troviamo un posto per la notte alla homestay di Tilda Han ed Erkin N39°00.648' E73°33.573', molto pulita ed accogliente (19 dollari a testa, più altri 10 per tre pasti). Parcheggiamo la moto nel cortiletto e scegliamo la stanza in cui dormire. Il posto ci piace subito; si articola in due basse e lunghe casette poste una di fronte all’altra sui due lati del cortile. Nelle stanze il mobilio è pressoché inesistente, ma si nota il tocco femminile: vasi di fiori alle finestre, coperte da leggere tende ricamate, un piccolo mobile dipinto di azzurro, con fiori rosa applicati a decoupage, funge da lavandino esterno. La famiglia è molto povera, come tutti in questo villaggio. Non c’è acqua corrente, Tildahan e la figlia maggiore fanno il bucato in grandi catini di ferro, accovacciate in angolo del cortiletto. Una bimbetta di un paio d’anni scorazza avanti e indietro, osservandoci da lontano. Ci sono altri due bambini, un ragazzino di una decina d’anni e una bambina di poco più grande. Lui trasporta i bidoni d’acqua con una carriola, lei spazza le stanze o accudisce alla sorellina. Mentre pranziamo con uova al tegamino e salame abbrustolito, sopraggiunge il motociclista danese incontrato i giorni scorsi. Lo accogliamo con grandi saluti, anche lui è contento di vederci, si accomoda sugli strapuntini accanto a noi e ordina il pranzo anche per sé. Mangiamo di gusto conversando con lui. Morten, questo il suo nome, decide di fermarsi per la notte per godere della nostra compagnia. La nostra ospite ci serve anche alcuni dolcetti e un’ottima marmellata casalinga di lamponi. Le ore scorrono pigre, ci sentiamo a nostro agio in questo piccolo cortile, io mi riscaldo al sole, osservando la vita della famigliola, mentre K e il danese conversano tra loro. Più tardi la padrona di casa ci avverte che se vogliamo c’è l’acqua calda per fare una doccia. Questa si rivelerà un’interessante esperienza. Si entra in una casupola, posta fuori dal perimetro del cortile, dove, da una stanzina che funge da spogliatoio, si entra in una seconda, caldissima, contenente un grosso serbatoio con acqua bollente. Tildahan porta un grande secchio con acqua gelida, un bricco ed un secondo secchio con cui attingere l’acqua calda. Mi lavo così, immersa nel vapore odoroso di legno, a 3990 metri di quota…sentendomi felice. Più tardi facciamo una passeggiata per le sterrate del villaggio, alla ricerca del mercato, ma non lo troviamo. Gli abitanti ai quali chiediamo informazioni ci indicano ora un edificio ora un altro…peccato non conoscere il russo! Rientrati alla homestay ci accomodiamo nella casetta dove abbiamo pranzato. E’ ancora presto per la cena , ma le ragazze ci fanno sedere in cucina, vicino alla stufa e ci offrono una tazza di cay.
La cena è molto semplice, consiste di una specie di pastasciutta con patate e carote, yogurt e per dolce i lamponi. Conosciamo il padrone di casa che rientra dal lavoro in quel momento. Erkin parla un po’ inglese così riusciamo a scambiare quattro chiacchiere. Apprendiamo da lui che la gente del villaggio rimpiange i sovietici sotto i quali c’era meno povertà e più lavoro. Dopo cena ci ritiriamo nella casetta per gli ospiti a conversare con Morten fino a che la luce, prodotta da un piccolo generatore, non si spegne all’improvviso e restiamo nel buio più completo. Accorre subito Erkin scusandosi per l’inconveniente chiedendo se abbiamo bisogno di una pila. Lo ringraziamo dicendo che abbiamo le nostre. Non ci resta altro da fare, una volta trovate le nostre torce, che prepararci per la notte, stendendo i nostri sacchi a pelo sui piumini che Tildahan ha preparato, in doppio strato, sul tappeto delle due camere. Alle 3,30 ci svegliamo per andare in bagno. Dobbiamo vestirci completamente, infilando anche giacche e stivali per uscire nella notte fredda. Il fiato esce dalla bocca come vapore, alzo gli occhi al cielo e…Dio quante stelle! Distinguo chiaramente il Carro dell’Orsa maggiore, la via Lattea e una quantità incredibile di stelle luminose. Restiamo alcuni minuti, rapiti, in silenzio, ad ammirare il cielo, poi torniamo ai nostri caldi sacchi a pelo.
23 luglio Kirghizistan
Karakul-Osh 270 km
Stamattina il cielo mostra qualche nube, qua e là, sulle cime più alte. Dopo colazione ci accomiatiamo dalla simpatica famiglia, con la promessa di spedir loro alcune foto. Regalo due scatole di pennarelli e matite colorate alle bambine che ci salutano con grandi sorrisi. Partiamo insieme a Morten, che ci dice subito di andare pure avanti e che ci ritroveremo alla frontiera, dato che la sua moto è più lenta della nostra. Così facciamo. La moto procede spedita, il morale è alto. Percorsi circa 20/30 chilometri arriviamo ad un punto in cui la strada è scomparsa, mangiata dall’impeto delle acque di un fiume. “Oh no! Che sfortuna!” imprechiamo. Scendiamo dalla moto e perlustriamo il greto del fiume per trovare un punto in cui guadare le acque impetuose, quand’ecco vediamo sopraggiungere due motociclisti. Uno è Morten, il danese, l’altro è Petr dalla repubblica Ceca su una BMW come la nostra, ma molto meno carico. Ha già attraversato quel punto due volte il giorno precedente e ci dice che non è un problema superare il dislivello e il torrente. Così, scaricata completamente la moto, Knut riesce ad attraversare, gli altri due non hanno problemi essendo più leggeri. Ci aiutano poi a trasportare il bagaglio sull’altra sponda, dopodiché, il ragazzo ci saluta volendo arrivare in giornata a Biskek, mentre noi proseguiamo in compagnia di Morten. La strada s’inerpica sino a raggiungere il Kizil Art Pass, a 4336 metri d’altitudine, dove è situata la frontiera tajika.
La storia continua in Kirgizstan!